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Third person, recensione

sportall on 13 aprile 2015 - 20:26 in sport

“Third person” è il racconto di tre storie, una ambientata a Parigi, una a Roma e una a New York. Tre splendide città che fanno da cornice a queste tre storie, non molto originali e a tratti davvero poco credibili, in cui i protagonisti principali sembrano essere due ma poi c’è sempre una terza presenza, ma anche una quarta, una quinta e così via.
Insomma, l’elemento “tre”, richiamato dal titolo stesso del film, esiste e non esiste e forse il richiamo più significativo sta proprio nella sua accezione narrativa di terza persona, la modalità in cui si può raccontare una storia, la modalità scelta da Michael, lo scrittore ex premio Pulitzer, ormai in crisi, in cerca d’ispirazione in una camera d’albergo di Parigi e praticamente protagonista del film.
Il cast è stellare, ma decisamente sottotono, Michael è interpretato da Liam Neeson, il suo personaggio ha recentemente lasciato la moglie, interpretata da Kim Basinger e con la quale è però costantemente al telefono, contemporaneamente vive la sua storia con la focosa quanto problematica scrittrice Anna, interpretata da Olivia Wilde.
L’altra coppia del film è quella formata da Scott, un ambiguo uomo d’affari interpretato da Adrien Brody, e Monika, una zingara sconosciuta interpretata da Moran Atias, di cui s’innamora seduta stante e per la quale è disposto a sborsare un’incredibile cifra di denaro.
La terza “coppia” vede Julia, interpretata da Mila Kunis, ex attrice di soap opera ora squattrinata cameriera di un hotel, impegnata nella battaglia per la custodia del figlio con l’ex marito Nick, famoso artista newyorkese, interpretato da James Franco.
Cosa unisce queste storie? Le incredibili turbe psicologiche, tre bambini invisibili, per un motivo o per un altro, e soprattutto il tema della fiducia. Ci si può fidare di chi si ha di fronte? Nel gioco dell’amore, della passione, del tradimento e delle dinamiche di coppia in cui spesso nulla è come appare, che posto ha la fiducia? Insomma, il tema non è originale ma potrebbe generare un certo fascino se non fosse che ci si perde nei vicoli delle città allo stesso modo in cui ci si perde negli anfratti del film. Questo fil rouge della fiducia è così flebile che spesso si perde di vista, e il tentativo di unire le storie ed intrecciare i personaggi appare sinceramente campato in aria.
Si genera una confusione che non lascia lo spettatore piacevolmente stupito ma semplicemente perplesso
Qui e lì ci sono spunti e dettagli interessanti, l’uso simbolico dell’acqua in cui finiscono degli oggetti, una fotografia spesso interessante e l’uso del colore bianco, “il colore della fiducia, il colore dell’onestà e il colore delle bugie che egli ha raccontato a se stesso

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